L’anno scorso mi sono catapultata per un periodo dentro Memorie Urbane. Andavo ad osservare i lavori ed immaginavo. Non mi rendevo conto che guardare, senza vivere in prima persona, non era nulla in confronto a quello che sto provando adesso. Come un moscerino, nel 2013, ho vissuto la tensione superficiale dell’evento. Poi mi sono decisa: era il momento di mettere via la timidezza, cosa che poi una Seconda Signora non dovrebbe mai avere, e mi sono tuffata.
Ho fatto quel famoso salto dal trampolino che ti consente di avere aria ed acqua quasi nello stesso istante sulla pelle.
Volevo cominciare con il raccontarvi una storia, o “novela“, come l’ha definita E1000.
Il racconto non era farina del suo sacco, o meglio, potrei dire che non l’ha scritto lui; ma nel momento stesso in cui me lo ha spiegato era di proprietà sua e della sua fantasia, poi è diventato mio e forse adesso potrà essere vostro.
Tutta nasce da un libro di Haruki Murakami edito in Spagna con il titolo Los anos de peregrinación del hombre sin color. Coincidenza ha voluto che in un scatto di Arianna Barone fosse stata catturata la corroborante copertina di quest’opera: dei pastelli uno in fila dietro l’altro. Un pentagramma cromatico.
Un libro io non potevo lasciarlo passare inosservato, capitata di proposito in Via Prebende a Terracina per vedere la nascita del nuovo muro solista di E1000. Non ho saputo mettere a tacere la mia curiosità ed ho chiesto che cosa fosse quel testo. Chissà perché mi aspettavo poca confidenza da parte di questo artista spagnolo ed invece ho trovato una grande voglia di condividere. Che poi a me il termine ” condivisione” piace davvero tanto.
Se ho ben compreso la vicenda narra del viaggio interiore di un uomo e dei suoi amici, ciascuno dei quali ha per nome un colore, tranne uno. E1000 mi ha spoilerato solo questo dell’intera vicenda ed era entusiasta di farlo ed allora mi è venuto spontaneo chiedergli di disegnarmi questo ” hombre sin color“.
Non sono sicura che Murakami abbia parlato proprio così del suo soggetto incolore, ma Boris Vian scriveva : «La storia è interamente vera, perché io me la sono inventata da capo a piedi», e quindi anche noi possiamo dirci reali nelle nostre fantasie.
E1000 è un po’ come le sue opere, cattura chi lo conosce. Passando dall’ormai spagnola Via Prebende a Terracina vi imbatterete in una gigante ragnatela multicolore ed un palo della luce tolto al suo solito grigiore, che non ha bisogno di elettricità per essere visto ma vive di colore proprio.
Non da meno i suoi “colleghi” Pablo Herrero e David da La Mano.
Anche loro si sono prodigati con semplicità nel lasciarmi un loro “ricordo“. Disegni che poi ho racchiuso tutti in un “acchiappa opere“, un semplice quaderno, rilegatura e pagine, dove ogni tanto butto lo sguardo e penso a quanto David sia capace di portare nei suoi lavori un eleganza che raramente ho ritrovato. Spadroneggia nel suo tratto una certa grazia, mentre suppongo che il sorridente Pablo mi abbia lasciato una metafora sui rapporti umani e mi sono sinceramente stupita di come con un solo elemento simbolico questo artista possa dire così tante cose. Gli alberi che riporta nelle sue opere, neri o rossi che siano, sono capaci di lanciare molteplici messaggi.
Come un unico vulcano questi due artisti ci hanno lasciato una “fucina” a Terracina. Nella zona di Badino incontriamo una torretta Enel che appare come un vero e proprio laboratorio dal quale escono scintille, fate e folletti; e dalla radice degli alberi-incubi di Pablo vengono sputati fuori e si moltiplicano questi piccoli spiritelli, si sparpagliano, per poi confluire nei rami, come in un tentativo di fuga, subito arrestato dalla natura. Passando di lì magari, in una serata nebbiosa, potreste trovarvi ad assistere alla comparsa di questi strani personaggi onirici, come nello shakespeariano Sogno di una notte di mezza estate. Attenzione a non disturbarli, potrebbero diventare molto bonariamente dispettosi!
Un po’ come una scheggia impazzita, il litorale laziale ha accolto un nuovo artista sul suo territorio: il norvegese Martin Whatson. Io presa da tutti questi miei esperimenti sociologici, lo avevo messo un po’ in secondo piano rispetto alle mie priorità artistiche. Vedevo le foto online ma mi ero detta che avrei sfruttato la magia dell’incontro dal vivo per farmi impressionare, come una vecchia pellicola. Di opere Whatson ne ha prodotte tante, si è spostato un po’ in tutte le zone battute da Memorie Urbane: Fondi, Latina, Terracina e ovviamente Gaeta, è stato talmente veloce che non è stato possibile stargli dietro. Così mi sono convinta a compiere un blitz per conquistarmi il giusto feeling con i suoi lavori. E guarda caso ho ribeccato la pioggia! Una giornata così cupa e uggiosa non capitava da tanto e, nel mezzo di un temporale senza interruzioni, sono di volta in volta comparsi: una telecamera spruzza colori, una macchina fotografica spara vernice, una zebra a colori, ed uno street artist che dipinge un muro arcobaleno. Martin sintetizza realtà e fantasia, le fonde insieme lasciandoci un messaggio concreto e serio: un soggetto reale lo rende regista di azioni dalle tonalità immaginifiche. Stencil e graffitismo prima maniera, quello che Martha Cooper catturava con le sue foto.
Ha il pregio di divertire, davanti ai suoi lavori non si può restare solo a bocca aperta o accennare una smorfia bonaria, si sorride. E chi oggi non ne ha davvero bisogno? Capire il messaggio e trovare una via di fuga. Non lasciarsi schiacciare: un tentativo di evasione è possibile.
E Lisztomania dei Phoenix è il motivetto giusto per tutto quello che fa.