Il titolo del racconto che vado a fare questa settimana l’ho scelto per testimoniare come siano agli opposti, eppure immersi in un brillante percorso immaginifico, i lavori degli Etam Cru e di Natalia Rak. Poi salteremo ad Alice e riserverò una parte finale e non poco importante all’allunaggio di Mp5 nel comune di Itri.
Il lavoro di Natalia Rak è nato sotto una cascata di ettolitri tra spray e pittura con l’aiuto dell’amico Bucolica Produzione alla “pennellessa”.Ci ho passato parecchio tempo, l’ho visto crescere questo ritratto, partendo da colori assurdi, pensando che ne sarebbe venuto fuori forse un clown o qualcosa di strano, poi pian piano ha preso vita ed è nata la bambina che mi ha fatto pensare alle sonorità del brano Candy dei Morphine, non il testo ovviamente, solo la musica. Lei, Candy, che con una enorme lente di ingrandimento osserva delle coccinelle che bivaccano su delle foglie. I colori sono di un acceso intenso, fluo. La ragazzina sembra avere un capello blu un po’ punk e il suo viso è talmente trasfigurato dalla lente che ti viene da pensare che magari siano le coccinelle che osservano lei. Lo ha chiamato Explore Nature, donandoci un invito ecologista, in un territorio dallo splendido paesaggio come Terracina. Al mio quaderno ha lasciato una serie di Kisses, ed un enorme cuore con la sua firma, un gesto di enorme calore, in contrapposizione al carattere austero che sembrava mostrare.
In contrapposizione al mondo di questa muralista polacca, ma pur sempre legato al mondo della immaginazione, c’è il lavoro del duo compatriota di Natalia, gli Etam Cru. Anche per loro l’uso dei colori non è cosa da pocoma la caratteristica che mi ha colpito di più è sicuramente la loro grande inventiva: danno al mondo dell’irreale il contrappeso sulla bilancia delle emozioni. Il tutto bianco, tutto nero come solo un manicheo può capire. Anche loro descrivono il mondo dell’infanzia però ne testimoniano un triste momento, tutto sempre usando colori estremamente vivaci: un bambino nell’atto di vendere i suoi giocattoli. Tutto sarebbe normale se negli occhi del soggetto al posto delle iridi non ci fossero due spilli catatonici. Sulla sua fronte si proietta un’ombra. Il distacco dal mondo del gioco e la triste realtà del quotidiano. Perché si è costretti a vendere, a lasciare il mondo dell’infanzia? Per entrare nel mondo degli adulti o per necessità? Nessuna delle due opzioni vale un viso così.
Sempre per l’espansione di Memorie Urbane nel territorio, ad Itri si sono alternate due artiste, vecchie conoscenze di questo Festival: Alice Pasquini ed Mp5. La prima ci aveva già regalato una sua opera a Borgo Hermada, della quale ho via scritto, non mi dilungo sul suo modo di lavorare perché aggiungerei benzina sul fuoco. Ieri sono passata a guardare il suo lavoro, che ripropone in questi territori un personaggio cinematografico storico: la ciociara. Ho incontrato Alice ma ho avuto il timore di chiederle come fosse possibile dare una connotazione non troppo triste ad un personaggio così tragico come quello del film di De Sica. Lei ci riesce e non so come faccia, come una sorta di Re Mida rende tutto quello che dipinge oro. Un “non dimenticate” dai connotati sereni, un promemoria che non rende l’animo pesante.
E poi c’è Maria Pia, MP5. La donna più talentuosa ed enigmatica del panorama street artis italiano, secondo me. L’ho braccata in passato per avere un suo autografo, io che l’avevo seguita dal mondo del fumetto. Se mi avessero chiesto chi mi sarebbe piaciuto “intervistare” nella mia vita, se fossi stata una giornalista e non una semplice “crazy Writer”, avrei risposto Anais Nin, Fernanda Pivano, e magari Ulrike Meinhof o Beth Gibbons. E poi Lei.
Donne sempre e solo loro, seducenti, scomode, forti, coraggiose e controcorrente. Diverse, estranee nel loro modo di respirare arte, ma accomunate da una essenza condivisa: la potenza.
Ma parliamo di questa artista.
Io l’ho sempre ritenuta il “battagliero” dei CCCP, la si potrebbe definire una not politically correct post moderna, per ciò che fa. Minimalista come Carver, amara come Yates, conficca nei sui lavori un senso di sfida ad una società assente, racchiude quasi tutto quello che vuole esprimere negli occhi dei suoi “spettri viventi”: esseri enormi con pupille nere assenti o bulbi formati da grandi cerchi color pece che racchiudono uno sfondo bianco indicante il vuoto. Elementi che fanno pensare ad una società programmata, gestita dal filo dei media, dedita al consumismo, e brancolante nell’horror vacui. Visi e occhi che ricordano vagamente le sembianze del “senza volto” del film di animazione La città incantata di Miyazaki.
Predilige il bianco nero, che dosa insieme a colori dalle tonalità accese. Forse per tenere illuminata la speranza, la possibilità del cambiamento. Sembra riservare al colore lo sfondo poetico dei suoi lavori. Lo scorcio di una incontaminata sensibilità, in cui dà la netta sensazione di credere fortemente in quello che fa e di non poter/voler essere fermata. Nel contesto di Itri ha proiettato su di un lato di una casa, una donna che galleggia in un liquido amniotico dalla tinta verde, non rannicchiata, ma racchiusa in se stessa con un cordone ombelicale che le spunta dalle gambe: l’attaccamento per il proprio luogo di nascita. Segno che questa artista mette in quello che fa una forte unione tra onirico e razionale: e non ne sbaglia una! Anche se mi sono dilungata parecchio su di lei, non voglio non citare una cosa che mi ha detto. Su di un braccio ha un tatuaggio, che le ricorda sempre di restare con i piedi per terra. Un “fly down” artistico. Una botta di umiltà che ho sentito accennare a pochi. Riprendetemi, ma lei per me è la perfetta incarnazione musicale dell’album Jeopardy dei The Sound. In particolare Resistance.