Alaniz è un artista argentino, ospite di Memorie Urbane 2017, dal 6 al 11 settembre. I suoi interventi si concentrano a Terracina, dove ha già realizzato il suo primo lavoro: Sisyphus (Sisifo). Il personaggio, dipinto sul pilastro di un cavalcavia, è schiacciato dal ponte e sembra far ricorso a tutte le proprie forze per sorreggere il peso che gli grava sulla schiena. Alaniz lo descrive come una sua personale declinazione del mito greco. Sisifo nella mitologia viene costretto da Zeus a spostare, per punizione, un grosso macigno su di una ripida salita; nella versione dell’artista, invece, è costretto a reggere su di sé l’enorme macigno. Una metafora, in chiave contemporanea, delle fatiche che l’uomo affronta nel corso della vita: il denaro, i debiti, la carriera lavorativa, solo per fare qualche esempio.
Nei giorni scorsi lo abbiamo raggiunto per una breve intervista.
Guardando i tuoi lavori ho visto che ci sono molti dipinti olio su tela. Ci racconti quando hai iniziato a dipingere e quando hai deciso di passare dalla tela al muro? Qual è stata la motivazione che ti ha portato a dipingere sui muri?
In realtà è il contrario, prima ho iniziato a dipingere sui muri e successivamente sono passato a dipingere anche su tela. All’inizio ero interessato a dipingere solo sui muri, perché pensavo che fossero il modo migliore per comunicare un messaggio e per condividere il proprio lavoro con il maggior numero di persone possibili.
Quali sono i temi che preferisci trattare? Da cosa trai ispirazione? Quanta Argentina c’è nei tuoi lavori?
Il mio argomento principale sono le persone. Sono loro ad ispirarmi. Credo sia importante capire i problemi che ci circondano, è per me il percorso da intraprendere per poterli risolvere. L’Argentina è il Paese in cui sono cresciuto e dove ho vissuto per la prima volta le problematiche e le ingiustizie sociali che esistono a diversi livelli anche nel resto del mondo.
Come scegli i tuoi soggetti?
La maggior parte dei personaggi che scelgo sono persone che incontro nel corso del mio cammino. Molti altri street artist, invece, hanno la tendenza ad utilizzare le persone come un oggetto da copiare, in un’ottica puramente estetica. Per me il soggetto rimane un mistero. Mi piace entrare in contatto con le persone, raccontare le loro storie o almeno cercare di instaurare con loro una connessione personale.
Cosa ti colpisce dell’umanità che ti circonda?
Tutto. La sua bellezza, la sua bruttezza, le sue contraddizioni; mi piace dire che amo gli esseri umani, ma non l’umanità. Penso che come singoli individui, ognuno di noi sia sicuramente bello, prezioso, ma abbiamo difficoltà nell’interagire come un insieme. Le nostre dinamiche come società, come specie, devono essere riesaminate. La Scienza ha dimostrato che possiamo superare noi stessi; ci sono, infatti, molte teorie che sono state confutate e scoperte che hanno superato la nostra comprensione. È giunto il momento di iniziare a capire che possiamo anche migliorare il nostro modo di trattare gli altri ed il modo in cui la società opera. L’uguaglianza è reale e può essere raggiunta; la correttezza sociale, l’eradicazione della fame e della povertà sono possibili, e abbiamo tutti gli elementi necessari per un cambiamento in questa direzione.
In alcune tue opere ci sono luci e colori che mi ricordano Goya. Quali sono i tuoi modelli pittorici?
Ogni pittore può influenzare il tuo lavoro se ci si apre a loro. Alcuni di loro mi hanno ispirato in momenti diversi della mia vita: Goya, Schiele, Caravaggio, Cezanne, Van Gogh, solo per citarne alcuni.
Tornando alla street art, c’è un artista che più di tutti ti ha ispirato o influenzato?
Lo stesso vale con gli street artist. Molti mi hanno influenzato, e ogni volta che scopro qualcuno di nuovo che mi colpisce non posso fare a meno di sentirmi leggermente influenzato da lui. Credo che la mia più grande fonte di ispirazione sia Blu, fondamentalmente per il suo compromesso.
La street art, a differenza di molti altri linguaggi, si offre al pubblico. Per vedere un quadro lo spettatore deve scegliere di entrare in una galleria o in un museo, i murales invece arrivano a chi li incontra in maniera a volte casuale o inaspettata. Che importanza ha per te lo spettatore? Che emozioni o sensazioni vuoi trasmettergli?
Dunque, lo spettatore è il ricevitore e nel momento in cui si sceglie di mostrare il proprio lavoro, non importa se sia una tela o un muro, egli diventa parte di esso. È una conversazione artistica che hai con lui. Anche se idealmente l’opera dell’artista non dovrebbe essere influenzata da altri pareri, se si vuole dipingere un muro di fronte a delle case, credo sia importante considerare le opinioni della gente. Si sta entrando nel loro quartiere, come uno straniero, e bisogna mostrare un certo rispetto nei loro confronti. Non voglio rendere miserabile la vita di qualcuno solo perché non tengo conto delle loro opinioni.
Quanta critica sociale o politica c’è nelle tue opere?
Cerco di mettere una bella quantità di critiche nel mio lavoro. Anche se non sempre in modo diretto, ma ce ne sarà sempre una piccola parte in ogni mia opera.
Negli ultimi anni in Italia sono nati numerosi festival legati alla street art, che hanno contribuito a dare un respiro sempre più ampio al movimento artistico, italiano ed internazionale. È la prima volta che vieni invitato ad un festival in Italia, che aspettative hai? Hai già in mente cosa realizzare a Terracina?
Ho alcune idee in mente, ma mi piace anche improvvisare e lasciarmi influenzare dall’energia del luogo.
Alcune opere di Alaniz sono disponibili sul sito della nostra galleria Street Art Place.
Articolo di Simone Martoccia.